Arco della Risurrezione
PROGETTO DEL LIONS CLUB CITTÁ DI CLUSONE E VALLE SERIANA SUPERIORE
Anni sociali 2021/2022-2022/2023 Presidente Domenico Andreoletti
RESTAURO DELL’ARCO CON CAPPELLA A VILMINORE
L’ARCO DELLA RISURREZIONE
Lettura degli elementi figurativi e simbolici
Si tratta di una Porta arcuata con annessa Cappella votiva che si trova all’ingresso di Vilminore di Scalve.
Non ci sono notizie storiche certe sulla data di costruzione di questo manufatto architettonico.
In una ricerca sugli Arcipreti di Vilminore (Miriam Romelli, inizio anni 2000) nelle pagine dedicate ad Angelo Milesi, nativo di San Giovanni Bianco e Arciprete di Vilminore dal 1880 al 1905, si trova che l’arco fu costruito nel 1900 su iniziativa di questo arciprete, oltre che allo scopo devozionale, anche per occupare al lavoro i molti padri di famiglia disoccupati. L’arciprete Milesi promosse anche la costruzione dell’arco di Via Valgimigli e, molto probabilmente, delle cappellette della Via Crucis.
Un’iscrizione all’interno dell’Arco, sopra il cancello della cappella, riporta la scritta:
ALLA MEMORIA DEI FEDELI DEFUNTI – ERETTO DAL POPOLO DI VILMINORE L’ANNO DEL COLERA 1867 E DAI REDUCI DELLA GUERRA EUROPEA CON GRATO ANIMO RISTAURATO NELL’ ANNO 1921.
Si deduce che ci fosse un monumento eretto dalla popolazione a ricordo dei morti di colera…, quasi certamente un “santèl”, una cappelletta preesistente che venne restaurata dai reduci della prima guerra mondiale, uomini scampati alla morte, che volevano ricordare i morti del paese.
Lungo l’Ottocento l’Italia visse sei ondate epidemiche di colera, dal 1835 al 1893. Quella del 1867 arrivò in Lombardia dalle aree portuali del Meridione. La Valle di Scalve ebbe molti decessi, poiché le popolazioni contadine, per le loro condizioni economiche e sociali, erano particolarmente esposte all’epidemia. Infatti la malattia è causata da un bacillo che si moltiplica nell’apparato digerente procurando una tossinfezione con potenziali esiti fatali, soprattutto in individui già debilitati.
Molte famiglie furono distrutte e numerose persone morirono probabilmente infettate da malati cui cercavano di portare soccorso e conforto. La gente si affidava alla religione più che alla medicina e qui, come in altre parti d’Italia, ha lasciato segni della fede cristiana nella vita eterna. L’Arco ne è un esempio.
Ancora sopra il cancello d’ingresso alla cappella c’è una scritta in latino:
EGO SUM RESURECTIO ET VITA
che si traduce con IO SONO LA RISURREZIONE E LA VITA.
Questa frase è tratta dal Vangelo di Giovanni, al capitolo 11, quando si parla della morte di Lazzaro e del miracolo della sua risurrezione.
19Molta gente era andata a trovare Maria e Marta per confortarle dopo la morte del fratello. 20Quando Marta sentì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece rimase in casa. 21Marta disse a Gesù:- Signore, se tu eri qui, mio fratello non moriva! 22E anche ora so che Dio ascolterà tutto quello che tu gli domandi. 23Gesù le disse: – Tuo fratello risorgerà. 24Marta rispose: – Sì, lo so; nell’ultimo giorno risorgerà anche lui. 25Gesù le disse: Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26anzi chi vive e crede in me non morirà mai. Credi tu questo? 27Marta gli disse: – Signore, sì! Io credo che tu sei il Messia, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo.
Gesù dice: Io sono la risurrezione e la vita. Non: io sarò, in un lontano ultimo giorno, in un’altra vita, ma qui, adesso, io sono. Gesù afferma: io sono la risurrezione delle vite spente, sono il risvegliarsi dell’umano, il rialzarsi della vita che si è arresa. Gesù ama Lazzaro e lo chiama: Vieni fuori! e lui esce dal sepolcro, avvolto in bende come un neonato, come chi viene di nuovo alla luce. Morirà una seconda volta, è vero, ma ormai gli si apre davanti un’altissima speranza: ora sa che i battenti della morte si spalancano su una nuova vita.
Dunque questa scritta vuol dire: quando pensate ai morti, scioglieteli dalla loro morte e liberatevi dall’idea della morte come fine di una persona. Credete che anche voi risorgerete, perché siete amati dal Signore, come Lazzaro.
Ai lati della scritta, ma un po’ più in basso ci sono due immagini simboliche uguali. Ognuna di esse riproduce
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- IL MONOGRAMMA DI CRISTO
Il simbolo originale dei primi cristiani non era la croce, ma questo segno. XP sovrapposte corrispondono a CR nell’alfabeto greco. Sono le prime due lettere della parola “Cristo” scritta in greco (ΧPIΣTOΣ). Le lettere sono inserite in un cerchio, che nel cristianesimo rappresenta l’eternità.
Rimaniamo sotto l’Arco. Di fronte alla parete con il cancello della cappella c’è la parete dedicata ai caduti della prima guerra mondiale. Ci sono una lapide e delle decorazioni a graffito.
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- LA LAPIDE
La lapide riporta questa dedica: I COMPAGNI REDUCI DELLA GRANDE GUERRA CON CRISTIANO PENSIERO RICORDANO I LORO FRATELLI CADUTI.
Seguono i nomi di 15 persone, i cui cognomi sono quelli originari della Valle di Scalve.
La lapide è abbellita con un ornamento composto da più elementi.
– RAMI DI ALLORO E DI QUERCIA: rispettivamente simboli di gloria e di forza, in senso sia fisico sia morale.
– ARMI: immagini simboliche della guerra.
– SCUDO CROCIATO SORMONTATO DA CORONA: stemma del Regno d’Italia.
La trasmissione orale del popolo ricorda UN VIALE ALBERATO CHE PORTAVA ALL’ARCO, con il nome di ciascun soldato caduto su ogni albero. Ciò è storicamente fondato poiché, oltre all’ erezione di monumenti, lapidi, cippi, sacrari, e all’intitolazione di numerose vie, piazze, scuole ed edifici pubblici alle battaglie e alle vicende della guerra appena finita, già dal primo governo Mussolini si ideò un nuovo tipo di memoriale, il parco o viale della Rimembranza (circolare del sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel 1922, poi convertita in Regio decreto nel 1923).
In ogni città e paese d’Italia veniva incoraggiata l’erezione di parchi o viali alberati dove ogni albero, piantato e curato dagli alunni delle scuole, ricordasse un caduto, con tanto di targa identificativa presso ciascuna pianta. Sorsero così questi parchi/viali, spesso in posizioni simboliche, magari vicino al monumento ai caduti, per amplificare il senso sacrale del sacrificio dei soldati, e per alimentare nei giovani l’amor patrio e la stima verso coloro che erano morti per l’Italia. Dal dicembre 1925 questo tipo di commemorazione divenne obbligatorio per legge, e l’anno successivo parchi/viali vennero dichiarati “pubblici monumenti”. Gli “eroi” quindi non erano più solo commemorati da una lapide o una scultura, ma da qualcosa di vivo – un albero – custodito dalle nuove generazioni.
Con la seconda guerra mondiale e la caduta del fascismo, i parchi vennero spesso abbandonati o sacrificati dalle nuove scelte urbanistiche, visti ormai più come un rimasuglio del regime, che come una celebrazione patriottica.
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- IL FREGIO SOPRA LA LAPIDE
Si tratta di una striscia, larga quanto la parete, con al centro un’aquila circondata da una corona e ai lati due torce.
– AQUILA CON ALI SPIEGATE: simbolo di vittoria (in guerra, ma, nella fede, anche sulla morte).
– CORONA DI QUERCIA, detta CORONA CIVICA: rappresenta il valore in battaglia, il coraggio.
Un’aquila come questa (con i fasci consolari fra gli artigli) circondata dalla corona civica era LO STEMMA DELLA REPUBBLICA NELLA ROMA ANTICA. Questo fregio vuole quindi richiamare le gloriose origini della storia d’Italia.
– TORCE ACCESE: per illuminare ai caduti il cammino dell’immortalità.
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- I SIMBOLI CRISTIANI CHE SOVRASTANO
ALFA E OMEGA: prima e ultima lettera dell’alfabeto greco, sono usate per rappresentare Cristo (Apocalisse XXII, 13: “Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine”). Si allude non soltanto all’eternità di Cristo Salvatore, ma alla sua opera nella creazione come Verbo e nella fine del mondo come Giudice.
UNA CROCE DAVANTI AD UN SOLE: la Risurrezione. Per chi crede, Cristo ha preso su di sé le sofferenze di tutti gli uomini (rappresentate dalla croce) e ha sconfitto la morte aprendo le porte alla gloria della vita eterna (rappresentata dal sole).
Il simbolo della Croce per i cristiani è l’immagine più familiare e più consueta e non c’era casa nel secolo scorso in cui non ci fosse appeso un crocifisso per richiamare la fede in questo mistero di salvezza.
La croce cristiana non è concepibile come simbolo sganciato da Gesù Crocifisso, anche se lui non è rappresentato. La potenza della croce non sta nella croce stessa, ma nell’evento storico misterioso della crocifissione: per la Chiesa è l’annuncio del Figlio di Dio Crocifisso e Risorto.
Il crocifisso non è però, per il cristiano, simbolo di sofferenza cieca, ma di donazione; non deve richiamare prima di tutto una morte subìta, ma una vita donata.
Dunque per un cristiano l’uomo trova salvezza non per la fiducia nei miracoli e per l’efficacia delle opere della sapienza umana, ma per la fede in Cristo.
La Croce di Cristo è per il credente il cuore del mondo. I fedeli si rivolgono non ad un oggetto di legno o all’immagine di un corpo morto, ma al Figlio di Dio, il Vivente, il Risorto. La Croce è il segno del suo servizio al Padre e all’uomo, nella potenza dello Spirito, in una donazione totale fino alla morte, e alla morte di croce. Dicono i cristiani: “Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa croce hai redento il mondo”.
La Croce è dunque il segno forte di un Amore che si è fatto carne e che vince la morte, è il segno di una Vita che trionfa, quindi è un segno di speranza, è la risposta alle domande sul senso della vita, nella ricerca umana della salvezza e della felicità eterna.
Entriamo nella cappella. Lo sguardo è attirato da un bel dipinto, di cui non si conosce l’autore, collocato sopra l’altare. Scopriamo i vari elementi compositivi e riflettiamo sul loro significato.
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- IL DIPINTO DEL RISORTO
L’opera rappresenta la Risurrezione di Gesù. Si tratta di una raffigurazione insolita, poiché più frequentemente troviamo o il Cristo vittorioso sopra la tomba scoperchiata (a volte con i soldati addormentati), o l’angelo che appare alle donne recatesi al sepolcro. Qui invece ci sono l’angelo e Gesù che comunicano tra loro. Possiamo pensare che sia il momento appena seguente la risurrezione.
L’evangelista Marco parla della tomba vuota e di un “giovane, seduto sulla destra, vestito di una veste bianca” (16,5) e Matteo cita l’angelo che “rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa” (28,2).
GESÙ CRISTO è avvolto in parte da un manto rosso: sta vincendo la morte, si sta spogliando del più grande limite della natura umana. In piedi su una nuvola, non è fermo, ma in un atteggiamento dinamico. Con la mano destra indica il petto (il cuore, la ferita al costato): è vero uomo; con la sinistra benedice indicando il cielo (il Figlio mandato dal Padre, seconda persona della Trinità): è vero Dio.
Gesù così raffigurato richiama l’immagine del SACRO CUORE, una devozione molto diffusa agli inizi del Novecento, quando fu ricostruita la cappella. La maggior parte delle statue e delle rappresentazioni del Sacro Cuore mostrano Gesù Cristo nella posizione benedicente, che indica con una mano il cuore coronato di spine, circondato da fiamme in mezzo al petto.
Entrambe le immagini, questa e quella del Sacro Cuore, ricordano la passione di Cristo, l’amore del Signore e la sua misericordia.
La veste dell’ANGELO è quasi traslucida, dorata, come se riflettesse la luce che promana da Gesù risorto. L’angelo parla con Gesù e lo ascolta, fa da tramite tra lui e i bisogni, le domande e le incertezze degli uomini.
Infatti ai suoi piedi si vedono a destra un teschio e delle ossa, a sinistra una croce e un cippo funerario. Gli uomini angosciati si chiedono: Perché nascere, soffrire, morire? Qual è il senso del vivere? Dov’è Dio nel dolore?L’angelo qui svolge il suo ruolo: riceve e trasmette il messaggio di Dio, manifesta Dio e la sua presenza in ogni momento, adora Dio, intercedendo a favore dell’uomo, annuncia e spiega l’azione di Dio.
La croce, strumento di ingiustizia, di dolore e di morte, diventa in Gesù simbolo della condivisione e della vicinanza divina nella sofferenza di ogni uomo. Sul cippo ci sono impressi tre segni: una clessidra e le lettere greche alfa e omega (la prima e l’ultima dell’alfabeto) che affermano che il Signore è il padrone del tempo e che il suo progetto d’Amore non ha confini. Il teschio e le ossa non sono che resti mortali perché l’evento pasquale ha aperto agli uomini, figli di Dio nel battesimo, la vita eterna.
Dalla terra sotto la croce spunta una pianticella verde, segno di rinascita e di promessa. É simbolo della salvezza portata da Gesù: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo Spirito del Signore…”(Isaia 11).
Gesù guarda con tenerezza l’angelo, riconosciuto da sempre un alleato della natura umana nella storia della salvezza. L’angelo riassume il senso della creazione come dono di Dio, rispecchia la possibilità del rapporto personale con Dio, in una intimità che Gesù ha vissuto e testimoniato.
I FEDELI CHE PREGANO GUARDANDO L’AFFRESCO, SI METTONO DIETRO ALL’ANGELO PER PARTECIPARE A QUESTO INCONTRO CHE DONA CONSOLAZIONE, FORZA E SPERANZA IN TUTTE LE AVVERSITÀ.
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- IL SIMBOLO SUL SOFFITTO: GESÙ FIGLIO DI DIO E NOSTRO SALVATORE
È un TRIGRAMMA (tre lettere) diffuso nel 1400 da san Bernardino da Siena, che per questo è considerato patrono dei pubblicitari. Vuole dare gloria al Santissimo Nome di Gesù e rappresenta il trionfo del Signore della Vita.
Il simbolo consiste in un sole raggiante; sopra vi sono le lettere IHS, cioè le iniziali di “Iesus Hominum Salvator” (Gesù Salvatore degli uomini). Il nome Gesù in ebraico significa Dio salva.
IHS sono anche le prime tre del nome Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs). Qualcuno le spiega come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)” il motto di Costantino.
IL SOLE centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole e suggerisce l’idea dell’irradiarsi dell’Amore. Richiama anche la Trinità: Gesù Figlio di Dio ha rivelato il nome e il volto di Dio che è Padre misericordioso e ha donato al mondo lo Spirito Santo (lingue di fuoco). Sulla linea mediana dell’H è appoggiata la croce: Gesù ha donato la salvezza attraverso la sua morte e risurrezione.
San Bernardino spiegava che il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i dodici raggi serpeggianti come i dodici Apostoli e poi otto raggi diretti più lunghi che rappresentano le beatitudini. La fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine.
In sintesi si tratta di un simbolo cristologico, cioè che parla di Cristo e che collegato con l’affresco annuncia:
Gesù è il salvatore di tutti gli uomini.
La salvezza è stata attuata mediante la sua morte in croce e la sua risurrezione.
La fede e la preghiera degli abitanti di questo luogo lo rende presente.
La fede cristiana consiste nel professare con la bocca e credere nel cuore “che Gesù è il Signore, e che Dio lo ha ridestato dai morti” e nell’invocare il nome del Signore per ottenere la salvezza (Rom. 10, 9-13). Nel nome di Gesù i cristiani si riuniscono, accolgono chiunque si presenti nel suo nome, rendono grazie a Dio in quel nome, si comportano in modo che il suo nome sia glorificato, soffrono per il nome del Signore.
L’espressione più alta della presenza del Nome del Signore e dell’intera Trinità nella vita cristiana si ha nel SEGNO DELLA CROCE, che introduce ogni preghiera, devozione, celebrazione e conclude le benedizioni e l’amministrazione dei sacramenti: “Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
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- SPLENDA AD ESSI LA LUCE PERPETUA
Le visite al santèl per ricordare i defunti erano, e sono, accompagnate dalla preghiera dell’ETERNO RIPOSO, il REQUIEM in latino che ai tempi della costruzione dell’Arco si recitava in suffragio dei defunti ogni giorno appena svegli al mattino e prima di coricarsi alla sera, insieme al Padre Nostro, all’Ave Maria e all’Angelo custode.
Réquiem aetérnam dona eis, Dómine, et lux perpétua lúceat eis. Requiéscant in pace. Amen.
L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Amen
Si tratta di una preghiera semplice, che si impara presto a memoria e che viene dal cuore: è il filo del ricordo e dell’amore che lega ciascuno ai propri cari che non ci sono più e a tutti coloro che ci hanno preceduto. Se ci soffermiamo ad analizzarla, notiamo subito la parola riposo, richiamata alla fine da riposino, e al centro la parola luce, che si chiede splenda ad essi. Parole che si incrociano tra loro ed imprimono un ritmo dolce e sommesso, ma allo stesso tempo accorato, forte.
IL RIPOSO nella Bibbia non esprime inerzia né ozio e neppure sonno. Il riposo invocato dalla preghiera è quello ILLUMINATO DALLA LUCE DIVINA, è il compimento della storia della salvezza, è un dono di Dio all’uomo per renderlo partecipe della sua vita gloriosa dopo i dolori e le fatiche.
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- NEL SANTÈL CON PAPA GIOVANNI
È ragionevole e giustificato immaginare che Angelo Roncalli abbia pregato e meditato in questa cappella. Da diversi documenti risulta infatti che, prima di diventare Papa, abbia visitato i paesi della Valle di Scalve, apprezzato il clima salubre, conosciuto i parroci, ammirato la gente e intrecciato profondi legami di amicizia con alcune persone.
Don Ezio Bolis, direttore della Fondazione Giovanni XXIII, attesta quanto segue. Nel 1925, appena arrivato in Bulgaria come visitatore apostolico, per dare un’idea alle sorelle del clima piacevole del luogo, Roncalli scrisse: “La temperatura qui a Sofia è buonissima, come in montagna a Vilminore”. In effetti aveva soggiornato varie volte nel capoluogo scalvino già da sacerdote, quando era direttore della Casa dello Studente di Bergamo e aveva come collaboratore il giovane don Pietro Bonicelli, nativo di Vilminore e ordinato sacerdote nel 1921. Tra i due si stabilirà una forte amicizia che durerà a lungo, anche quando i due vivranno lontani.
Don Bonicelli ospitava l’amico nella casa avita a Vilminore, proprio davanti alla Parrocchiale. Sicuramente nelle sue passeggiate il futuro Papa avrà raggiunto l’Arco.
Racconta ancora don Bolis: Abbiamo notizia di una visita di don Roncalli a Vilminore il 6 agosto 1923 e lo stesso giorno dell’anno seguente. Inoltre nella bella chiesa del capoluogo scalvino don Roncalli celebrò la Messa nel 20° anniversario della sua ordinazione sacerdotale, il 10 agosto 1924. La suggestiva cornice delle montagne scalvine gli offrì lo spunto per alti pensieri spirituali, riportati nella sua agenda: “A Vilminore ho celebrato il 20 anniversario della mia Ordinazione sacerdotale. Semplicità e solitudine furono di aiuto al mio spirito per raccogliermi, ringraziare il Signore, umiliarmi, prender coraggio. Soprattutto prendere coraggio. La mia vetta è ancora troppo lontana: poco cammino nella virtù ho fatto in 20 anni. Assai più, assai più debbo lavorare, sacrificarmi, santificarmi”. Vi giunse anche nel settembre 1948, per il Congresso Eucaristico di zona. Al vescovo Adriano Bernareggi che l’aveva invitato, il nunzio Roncalli rispose da Parigi il 27 luglio 1948, rivelando la sua simpatia per la Valle: “Le sono poi riconoscentissimo dell’invito che mi fa per la domenica 5 settembre a Vilminore dove per alcuni anni passai giornate serene e non inoperose d’estate.”
Lasciamo che risuonino nella cappella le parole tratte da uno scritto di Papa Giovanni XXIII circa la devozione dei morti, qui così forte.
“LA DEVOZIONE DEI MORTI È INNANZI TUTTO MEDITAZIONE DELLE VERITÀ ETERNE ED ESATTA VALUTAZIONE DI CIÒ CHE PASSA E DI CIÒ CHE INVECE È DESTINATO A SOPRAVVIVERE”
“Oggi siamo venuti a rendere omaggio alla memoria dei Morti: un tributo di preghiere al Signore per le loro anime, affinché la divina misericordia li avvolga definitivamente nella luce celeste.
Ma il ricordo di quelli che ci hanno preceduto, e ai quali ci legano vincoli di fedeltà e di riconoscenza, vogliamo che ci accompagni nella successione degli atti della nostra vita quotidiana. Perché questa è memoria degna di loro, questo torna a loro onore, questo è lo spirito del suffragio cristiano, che è tutt’uno con la vita e la pratica cristiana del vivere…
Noi siamo come invitati a levare gli occhi al di sopra delle tombe, e a cercare altrove quelli che furono e ci restano cari.”